“Che un re potesse chiamarsi Vitello, che la luna per i suoi crescenti fosse un torello, che le api nascessero dai tori, che per questo motivo la luna potesse chiamarsi, come l’ape, Melissa, la dispensatrice del miele, che dal sangue dei tori nascessero le spighe: queste ed altre come queste erano le opinioni correnti dei pastori d’Aspromonte in tempi remotissimi”.
Pare che sulle antiche montagne calabresi, in un’epoca antica e perduta, vivesse un saggio re di nome Italo, di cui ci riferisce perfino Aristotele. Il suo regno comprendeva l’estremo Appennino meridionale, tra l’istmo di Catanzaro e l’Aspromonte.
Il re Italo governò per lungo tempo le tribù di pastori che vivevano nel suo regno e, mille anni dopo, di questo mitico re e della sua gente non rimasero che delle storie. Ma del suo nome i colonizzatori greci si servirono per contrassegnare in Magna Grecia la loro presenza: si fecero chiamare, infatti, Italioti.
A quanto si dice, però, il vero nome di Italo era Vitalos, un termine usato dai latini per indicare il toro da monta.
Residui di questa antica epoca si trovano ancora nei termini toponomastici calabresi che richiamano il nome del toro, tra questi: Gioia Tauro, Metauro (il fiume Petrace), Taureana (antica città), Taurianova.
Il toro era un animale che ricopriva un posto di grande rispetto nella vita degli antichi popoli della Calabria, i quali avevano lo avevano associato ad alcune credenze singolari. Per le sue corna dalla forma inconfondibile, esso era associato alla luna. La dea luna Ecate di quegli antichi popoli fu a sua volta un torello, simbolo di rigenerazione.
Altra associazione interessante fu quella tra il toro e le api. Queste erano chiamate anticamente con il nome di Apis, il quale era anche un termine per indicare il toro. Tale nome nell’antica lingua mediterranea sembra volesse indicare un essere senza consistenza. Le api, infatti, erano considerate senza sangue né sesso, prive di respiro, e generate semplicemente dalle carcasse dei tori e degli animali vaccini in generale, per generazione spontanea.
Siccome la luna era un torello, fu chiamata Melissa, come l’ape.
Si racconta, poi, che in Aspromonte, all’inizio dell’ultimo millennio, il pastore Italiano (questo era il suo nome), avendo perso il suo torello, lo andava cercando per tutta la montagna. Lo trovò sotto il monte Cannàvi, inginocchiato ad adorare una croce infissa nel terreno. In quel momento apparve la Madonna che espresse la volontà di vedere costruito proprio in quel luogo un santuario a lei dedicato. Nacque così il santuario di Polsi.
Questa leggenda molto probabilmente sta ad indicare l’azione dei monaci Basiliani (costruttori del santuario) nell’estirpare da quei territori il culto del toro, sostituendolo con quello mariano.
Solo la montagna può raccontare cosa sia accaduto davvero in quei tempi remoti tra i suoi boschi selvaggi.
Questi racconti, così come la citazione iniziale, sono tratti dal libro “Zomaro, la montagna dei Sette Popoli”, di Domenico Raso.
Scritto da Nadia D’Apa 😉